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      Così seguitò anche un poco il duello: Rogiero era intatto: Anselmo, in parte disarmato, aveva in due o tre luoghi falsato l'usbergo, ammaccato il bacinetto, ma non gettava anche sangue: bene lo facevano spasimare l'aspre percosse; la qual cosa unita allo stupore di non essere aiutato, ed alla paura di esserlo, ma non in tempo, tanto gli scompigliò la mente, che fuori di sè, perduto il lume degli occhi, sconfortato dal rumore che annunziava la sua sconfitta, cominciò a lasciare il terreno; ad ogni passo volgeva disperato la testa verso il Caserta che se ne stava immobile, e tante volte offriva occasione al nemico di finirlo a un tratto: di vero infastidito Rogiero di quel gioco, aspetta il tempo, mena un gagliardo manrovescio, coglie Anselmo nei cordoni di seta che la gorgiera allacciavano al bacinetto, e ad un punto gli getta queste armi per terra, e lo ferisce alla gola. Anselmo stramazza tramortito; se a levarlo di sentimento contribuisse il terrore o il dolore, noi non sappiamo; certo molto tremendi furono ambidue; mostrava il volto giallo come itterico, la fronte livida dai colpi, i labbri congelati in un brivido; sgorgava dalla ferita impetuosamente il sangue, fluido e vermiglio, segno certo di arteria recisa; – era la piaga insanabile. Gli spettatori levarono un grido, e rotte le file dei soldati si precipitarono a gran corso verso il caduto. Rogiero, guardatosi attorno, vide che sopra tutti gli altri si affaticavano a farglisi vicino i Baroni congiurati, e temè di perfidia; accostatosi al suo padrino, proferì queste parole: "Ora salvatemi, valente Cavaliere, o che son morto.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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