Arrivato che fu Manfredi nella sua real sede di Benevento, mandò per l'Amira dei Saraceni, Sidi Jussuff, della stirpe dei Ben-izeyen, il quale comparso, e salutato il signore con ogni dimostrazione di rispetto, secondo il costume degli Orientali, gli stette immobile davanti, aspettando il comando. Manfredi ordinava: "D'Angalone, procurate sollecito che le compagnie dei Tedeschi di qui a due ore sieno in punto di marciare per San Germano; tu, Baba Jussuff, fa lo stesso dei tuoi Saraceni: tu sai, che sebbene noi siamo credenti di Sidi Issa, tuttavolta li consideriamo come i più fedeli sudditi nostri; va, dì loro che si apparecchia un breve travaglio, che il Dragone minaccia la luna, ma che Dio grande ha destinato che uscirà più lucida che mai dalle sue branche schifose; nè il vincere pende incerto, perchè non ha egli detto il Profeta: – Chi si pasce d'iniquità trova la sua bocca piena di cenere?"
L'Amira, conserte le braccia al seno, fatto inchino profondo, accennava di partire, quando il D'Angalone disse rivolto a Manfredi: "Messere lo Re, avete considerato per via qual notte si apprestava? Il cammino che dobbiamo percorrere è malagevole; se la procella ci giunge, ci strazierà l'affanno, nè potremo inoltrarci di un passo."
Trista è la fede,
interruppe l'Amira "che si consiglia col tempo: la bestia che Allah ha fatto compagna dell'uomo, guarda il segno e la mano, non il sentiero, e se tra mezzo si sprofonda l'abisso, muore nella letizia della sua fedeltà; l'uomo avrà sortito doni maggiori per esser minore del cane?
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