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      Tutto ha destinato il Signore, nessuno può fuggire il suo fato; se l'Angiolo della Morte scese dal cielo, ti percuote tanto seduto alla mensa, quanto schierato in battaglia; – tutto ha destinato il Signore, e il migliore d'ogni consiglio è l'obbedienza del Re."
      D'Angalone, a cui quella dottrina della fatalità non andava a verso, voleva rispondere; lo prevenne Manfredi, facendo un atto di sdegno con la mano, ed esclamando: "È destinato; l'Amira vi ha risposto per me."
      Si allontanarono. Rimase solo Manfredi: si succedevano truci pensieri nel suo intelletto con la celerità stessa con la quale in quell'ora si aggiravano i nuvoli pel firmamento, nè meno erano tenebrosi; noi non ne faremo la storia, chè forse volendo noi potremmo. Passate due ore di passione, giunsero, primo l'Amira, secondo il Conte d'Angalone, ad avvertirlo, essere le compagnie saracene e tedesche disposte a partire. Manfredi, dato un grande sospiro, guardò intorno la sala, prese l'Amira sotto l'ascella, e: "Andiamo" disse "dove ci chiama chi in noi può più di noi stessi.... ah! il mio destriero.... io l'ho obliato...."
      Ho provveduto a questo, Messere;
      rispose D'Angalone: "egli vi attende bardato alla soglia del palazzo."
      Gran mercè, Conte; voi avete molto bene operato.
      E scesero. Appena si furono affacciati alla porta, che agli occhi di Manfredi occorse un pietoso spettacolo: su gli estremi gradini, disposti in soave atto di amore, stavano la moglie e i figli suoi: – ei gli aveva dimenticati! – tanto possono le cure del trono che facciano dimenticare all'anima sì gran parte di lei?


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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