Nei campi aperti combattevano i nostri padri, e noi nelle aperte pianure sortiamo, andiamo a dare generosa ammenda al fallo di traviati fratelli, facciamo che mal gustati gli tornino i dolci frutti d'Italia, tocche in mal punto le italiane terre; avverso è il clima, mortifero l'aere nostro al giglio di Francia. Qui assorsero, qui vivono, ed eternamente vivranno alla vittoria le Aquile imperiali: – forse che adesso Carlo, – il Re del nostro Regno! – si consiglia con la paura, e ferma di lasciare, senza pure vederle, queste terre donategli da quel suo romano Pontefice: è tardi, – le Alpi non si varcano indarno. Figlio di padre infelice fu quegli che osò guastare il giardino dell'Impero; vedova prima che sposa, l'amante di colui che offese il retaggio dei discendenti di Costantino: di là dai monti oggimai non vedranno che l'esequie degli stolti che si commisero alla audace intrapresa; – abbiano il lutto da che non ebbero il senno; dopo il fatto, anche il folle diviene sapiente: e già il nostro pensiero, lieto dei favorevoli augurii, lusingato dalla gloria dell'evento, gode affacciarsi al futuro, e contemplarvi venerandi per onorata canizie nelle sale dei vostri castelli, festeggiati dai vostri nepoti, instantemente richiesti a narrare la storia di tanti trofei appesi; voi allora li guarderete sorridendo sì come consapevoli di vivere immortali nella memoria dei posteri; e incomincerete così: – Corrono molti e molti anni che una gente di Barbari mosse d'oltramonte a infestare le nostre belle pianure; pregate, figli, la pace a quell'anime, però che anche elleno fossero di battezzati!
| |
Italia Francia Aquile Carlo Regno Pontefice Alpi Impero Costantino Corrono Barbari
|