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      Vero è però che nel volto dimostrava il contrario, e diverso dalla sua natura sorrideva spesso, e qualsivoglia capitano o soldato contemplasse sgomento, lo chiamava per nome, e sì gli diceva: – "Fa core, che abbiamo superato il ponte, e con l'aiuto di San Martino supereremo anche il muro; buono studio vince rea fortuna." – In questa guisa dava animo altrui quanto più il suo era presso a disperare.
      Mentre così Manfredi, a malgrado del suo bel discorso di sortire alla campagna, stava riparato dentro la Fortezza, – non perchè gli mancasse il coraggio, chè anzi ne aveva moltissimo, ma perchè dubitava dei suoi fedeli Baroni; – e Carlo, da che non poteva scoprirsi lione, attendeva con la sagacia della volpe a specolare il momento opportuno, accadde in San Germano una avventura grave in sè stessa, più grave per le conseguenze, e fu questa. Camminavano sopra lo spaldo a diporto molti dei principali capitani del Re Manfredi, tra i quali il Conte Giordano d'Angalone, e l'Amira Sidi Jussuff, favellando, sì come i soldati costumano, delle cose della guerra; e secondo che avviene entrando di un particolare in un altro, il Conte Giordano venne sul discorso dei casi presenti, e con molto savie ragioni dimostrava doversi tra breve sciogliere lo esercito nemico, però che inoltrarsi nel Regno con San Germano alle spalle sarebbe, stata impresa più presto stolta che audace, nè il Conte di Provenza intendeva sì poco di milizia da commettere tanto irreparabile errore; essergli l'indugio rovina, perchè sapeva di buon luogo che stava co' soldati allo stecchetto di vittovaglia e di quattrini; i soldati poi non intendere nulla di promesse; volersi oro per mandarli innanzi, ferro per mandarli indietro; sopra ogni anima al mondo seguitare essi l'antica sentenza, che dove non si guadagna si perde: e qui, aggiunte molte altre novelle, passava a dire come savio consiglio del Re fosse quello di abbandonare Benevento, e accorrere con quante forze aveva in pronto a tutelare San Germano.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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