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      Si levò all'intorno un riso di scherno, divenne il d'Angalone per la faccia di fuoco, e con amare parole riprese l'Amira: questi dal canto suo non si tacque, e tanto si riscaldò la lite, che il Conte senz'altro rispetto gli disse, – che mentiva per la gola, e gliel'avrebbe provato di santa ragione; che se i matti al suo paese si veneravano per Santi, nel suo si bastonavano perchè apprendessero senno; che assaltare uno squadrone di cavalieri era altra cosa che svaligiare una carovana di mercanti; che condurre gli eserciti diversificava dal condurre gli armenti; – e molte altre cose aggiunse, vituperevoli tutte, che l'Amira non si meritava per niente, come quello ch'era uomo dabbene, e molto virtuoso della persona. Ma la collera non misura i colpi, nè le parole; e all'uomo che fa il volto soverchiamente rosso per ira, conviene poi farlo pallido per vergogna. L'Amira, a malgrado sentisse la mentita quanto una stoccata nel cuore, agitando la bocca di un cotal suo riso pungente, riprendeva beffardo: "Messere il Conte come uomo alto misura la sua fede con le nuvole, e pe' suoi doveri se la intende con la luna; davvero, Conte, in quella notte temei che il vento la lealtà vostra spengesse per la via; avanti d'ingaggiare battaglia procurate di convenire col nemico di non dare di taglio, nè di punta, – a non farsi male, – e nella testa non conta: – deh! avvertite a non lasciare il mantello, perchè tornando riscaldato dal campo non vi si geli addosso il sudore." – E in questo metro continuava.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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