– Donami, Amira, la tua querela; te ne scongiura il Re.
Non posso, figlio di Federigo, non posso....
Manfredi si levò impetuoso, e afferrando pel braccio l'Amira lo condusse al balcone, dal quale sopra il pendío del monte Cassino si vedevano le rovine della città di Eraclea, mandata a ferro e a fuoco dal furore dei Vandali. – Solenni appaiono coteste reliquie, e veramente degne dei giganti di Roma, i quali non pure emulano, ma co' brani della grandezza loro superano quanto sa elevare di magnifico l'avara ambizione dei tempi moderni. – "Là fu una terra potente," disse Manfredi "adesso giacciono sformate macerie e sassi: ora corrono quasi sei secoli che una gente feroce scese dai monti, incontrò popoli discordi e gelosi, e trascorse le nostre campagne: vedi," aggiunse con voce più sonora, additando quei ruderi, "la storia dei fatti dei Vandali si compone di coteste pagine. Tale diverrà San Germano, e per tua colpa; ma quando l'età avrà nascosto la memoria del mio Regno e il mio nome, uscirà sempre da quelle rovine una voce che griderà ai posteri: – Qui fu tradito un valente signore da un servo infedele."
Oh se io potessi!... Non posso.... Manfredi, non posso.
Or via, poichè teco non vale la preghiera, valga il comando. Mi sono figli i miei popoli, e un giorno dovrò renderne conto a cui gli commise al mio reggimento: in virtù della reale nostra autorità ti ordiniamo di differire questa querela: – è santo, qualunque sia, il comando del Re.
V'ha tale che lo negherebbe, figlio di Federigo, ma io non sarò quegli.
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