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      Ora potete dormire perchè siete sicuro,
      – soggiunse, e si precipitò giù per le scale, che, per non funestare gli sguardi dei Reali di Napoli, aveano sgombrato del cadavere del povero Benincasa.
      Uscivano all'aperto; – i nemici erano scomparsi. Da lontano s'intendeva un cozzare di spade, un gridare confuso Svevia! Mongioia! Stupivano, non s'immaginavano che cosa potesse essere; si valevano della buona occasione, e montati in sella, tolte in groppa le donne, spronavano verso la porta di San Giovanni. Senza incontrare avventura che meriti di essere raccontata, pervennero alle mura, le passarono, e si cacciarono alla campagna, gridando sovente con allegre voci: "È salvo il Re!"
      Manfredi, spesso ricorrendo con la mente ai casi avvenuti in quella notte memorabile, esclamava tra contento e turbato: "Anche la sventura a qualche cosa è buona; s'ella non fosse stata, io non avrei mai conosciuto questi fedeli che mi circondano."
      Mi volgerò io a contemplare per l'ultima volta la vinta città? Mi volgerò, – che l'Angiolo non me lo ha vietato sotto pena di tramutarmi in istatua di sale. – Ecco, ella arde come Gomorra; l'una colpevole di ribellione al suo Dio, l'altra colpevole di fedeltà al suo Re: le dico ambedue colpevoli, perchè altramente non saprei andare capace, come una stessa rovina le percotesse, Poc'ora d'incendio abbrucia opere intorno alle quali sudò anni interi la industria; le dimore del superbo, i poveri ricoveri, cadono adesso nella comunione della distruzione: vi furono figlie stuprate sotto gli occhi dei padri, mogli sotto quelli dei mariti, e guai a loro se facevano cenno, se mettevano un grido, un gemito; i cittadini, parteggianti per Carlo o per Manfredi, purchè doviziosi, rubati; le case saccheggiate, i repugnanti uccisi, i paurosi scherniti; e sì che il Conte di Provenza diceva a cui ci voleva credere, essere venuto a levare dal collo dei Pugliesi quella oppressione sveva, e si faceva chiamare liberatore.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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