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      Era dunque generosità invocare la vostra luce, affinchè rischiarasse la tenebra che la umana malignità ha deposto sopra il mio capo? Intanto attendeva ad operare incontaminato, e spesso il mio labbro diceva: gli uomini al fine cessano di essere ingiusti; – ma il mio spirito non lo sperava: e quando mi ristoreranno del nome che mi hanno rapito (inverecondo, e pure inevitabile fatto, che alla stolta moltitudine appartenga chiamarne buoni, o malvagi!), allora, io pensava, riparerò alla Corte del nobile Manfredi; – forse fu questa superbia, forse venerazione per Vostra Serenità; – ad ogni modo credeva, e tuttavia credo, non ogni Ghibellino sia per giovare al figlio di Federigo.
      Voi vi apponeste al vero, valoroso Barone, quando pensaste che non tutt'uomo, che odiasse Roma, fosse degno di amare Manfredi; pure vi dilungaste dal retto, allorchè ci negaste il cuore o la mente di distinguervi tra mille che gridano parte per far tacere la legge. Assai lungo tempo corre che noi desideravamo vedere la persona vostra, ed ora ringraziamo il destino, che, prima di finire i nostri giorni, ci ha conservato a tanta dolcezza.
      Nobile Manfredi, grandi novelle udimmo raccontare della cortesia vostra; tuttavolta, per quanto dica la gente, io vedo adesso ch'ella vince le parole.
      E se il cielo assente che questo non sia lo estremo dei Regni Svevi sopra le terre di Puglia, voi non vi partirete più dal nostro fianco, noi vi faremo condottiero di una parte delle nostre compagnie, e avrete nel Regno stanza e vita onorate: – compíta suonava per la Cristianità la fama della Corte di Manfredi nella gloria dei Trovatori, adesso con Ghino da Turrita compíta sarà anche quella della gloria delle armi; – se tanto ci frutta la sventura, noi davvero non sapremmo più invocare la fortuna.


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La battaglia di Benevento
Storia del secolo XIII
di Francesco Domenico Guerrazzi
Le Monnier Firenze
1852 pagine 699

   





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