Gran mercè, Cavaliere;
soggiunse Elena con donnesca leggiadria "nè uomo al mondo vorrebbe negare, che, posandomi io sul mantello di Manfredi, e su quello del virtuoso messer Ghino, non mi fossi giaciuta sopra il letto dell'onore: non pertanto io vi prego a tenerlo; la notte stringe rigida, l'aria pungente, e voi potreste per avventura averne bisogno."
Oh! sì,
scuotendo la testa replicava Ghino "sarebbe l'ora che io non avessi imparato di farne a meno: o nobile Madonna, da che io conobbi che i miei nemici avevano arso il castello dove solevano riposarsi i miei maggiori, io non ho avuto altro letto che la terra, e spesso altra coperta tranne il cielo; – il cielo si mostrava tempestoso, e il fulmine talora mi ha rotto il sonno, ed io balzando esterrefatto ne ho veduta l'ultima striscia infuocare le nuvole, e la faccia aveva invetriata di gelo, e i capelli rappresi dai diacciuoli, e il terrore mi premeva la fronte, perchè la vendetta mi stava lontana: – adesso il cielo è sereno, la vendetta compíta, e il fuoco vicino, sì che, se voi non avete altra scusa migliore per rifiutarlo, ecco, io l'ho disteso." E sì dicendo allargava il suo mantello per terra. Terminata l'opera, salutava i Reali in atto ossequioso, e allontanandosi augurava: "Possa esservi apprestato migliore letto domani!"
Lo speriamo!
rispose Manfredi; – e la Regina: "sia fatta la volontà di Dio."
Ghino, recatosi dalla parte opposta dei Reali di Sicilia, slacciasi l'elmo, e lo appende al ramo di un pino; appoggia l'asta al tronco, poi si adagia sul terreno, la nuda testa sovrappone allo scudo, s'interna la spada tra le gambe, e aggravata la guancia sopra la destra palma, dopo pochi momenti si addormenta.
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