aggiunse parlando ai Saraceni "s'io muoio, questi è il signor vostro; ogni ferita che darete in pro suo, sarà la migliore esequie che farete al mio spirito. A noi, d'Angalone." – E levò la scimitarra.
Fermati, Amira, tu fai torto alla persona del Re!
esclamò, interponendosi, Manfredi.
Oh! fatti in là, pel capo di tuo padre, Manfredi: non volere ch'io maledica il momento che ho veduto il volto del mio Muleasso.
Lasciate, Messer lo Re,
supplicava il d'Angalone; "egli ha sete del mio sangue."
Non del tuo sangue, Conte; della mia fama.
Tu ci hai perduto una terra bene afforzata, e bella; ora ne vorresti perdere l'amico. Sappi, Jussuff, che senza sgridarti con la più leggiera rampogna, noi potremmo perdere tre, dieci città, il Regno, non l'amico della nostra fanciullezza.
Nè io ti fui meno amico di Giordano: tu vuoi che la infamia mi copra; ebbene ella coprirà la mia fossa, non già la mia vita.
– Ed altamente crucciato trasse un pugnale ritorto, levando il braccio quanto meglio poteva, per fendersi il seno. D'Angalone, che gli stava vicino, fu presto a trattenerglielo quando scendeva, gridandogli nell'orecchio: "Se il Profeta ti aiuti, tu commetti peccato."
Insegnami dunque la via di non commetterlo!
Noi te la insegneremo,
disse Manfredi; "già altra volta ti pregammo a differire la querela; differire non significa rimettere, e tu potrai riassumerla, allorchè avrà disperso questo turbine colui che lo ha ragunato."
Ben lo farei, perchè tu ne fossi contento; ma io non ne conosco esempio nelle storie che mi hanno narrato i miei padri.
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