Furono i ben venuti: Carlo li confortò a rimanersi fedeli; aggiunse non volere introdurre presidii entro le rôcche per non mostrare di aver sospetta la fede loro; – in sostanza, perchè non voleva diminuire l'esercito, e divisava di assaltare grosso il nemico, conoscendo che nella condizione in cui si erano ridotti gli eventi, la somma delle cose pendeva dallo esito di una battaglia; – poi gli accomiatò pieni, egli di carezze, e il Legato d'indulgenze. Traghettato il Volturno, si cacciava a gran corso per la via che s'inoltra alle falde dei monti del Matese, tanto che al declinare del giorno giunse ad Alife. Anche questa città gli schiuse le porte; e se meno era severo, lo portavano i cittadini per le vie quasi in trionfo: Carlo represse il moto, ed essi si contentarono di urlare tanto alto, da soffocare la voce della coscienza che li chiamava traditori. Se però v'è ragione che scusi il tradimento, gli Alifesi l'avevano. Essi serbavano in mente l'ingiuria di Federigo II, che per mezzo del Conte di Celano distrusse col ferro e col fuoco quella loro patria infelice: ben lo supplicavano i mal condotti di perdono, lo Imperatore fu inesorabile; egli morendo lasciò agli Alifesi un legato di vendetta, ed essi lo fecero pagare al suo figliuolo: certo, turpe il misfatto, turpissima la vendetta; ma dalla colpa nasce la colpa, e la infamia si perpetua nel mondo. – Talese non resse meglio di Alite: un'antica memoriaraccontava che i ruderi di una città, che si vedevano circa un miglio distanti da questa terra, fossero un'altra Talese, rovinata dai Saraceni; e però i Talesi gli odiavano, e per cagione loro anche Manfredi avrebbero desiderato morto; tuttavolta, al primo apparire dei soldati di Carlo chiusero le porte, e mostrarono far testa.
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