– Manfredi, alla dimane convocato il consiglio dei suoi, così favellava al Conte Giordano d'Angalone: "Or via, vedete, Giordano, se vero è stato il nostro presagio? Non ve lo dicevamo noi, che da questa tregua non avremmo ricavato altro che la infamia di averla proposta?"
Messere lo Re, tristo è chi perde; voi per vincere dovevate fare questo; il nemico non si lasciò andare all'amo; provvedasi ch'ei vi sia costretto.
Esponete, Giordano.
Le medesime cagioni che dovevano rovinare la impresa di Carlo a San Germano la rovineranno a Benevento; prendiamo la lepre col carro; non vi dolga indugiare; soprastando si consuma il nemico; Vostra Serenità s'ingrossa della gente che Corrado di Antiochia tiene in Abruzzo, di quella che i Conti Federigo, di Ventimiglia, e i Capece, ragunano in Calabria e in Sicilia, ed offre eziandio spazio di tempo necessario ai Baroni per condurre le taglie.
Conte d'Angalone,
interruppe Manfredi "oggimai le cose non sono più intere come a San Germano; adesso sarebbe danno quello che allora appariva lodevole; l'onore nostro chiede l'ammenda."
Salva vostra grazia, Messer lo Re, voi sapete meglio che altrui gli affari del Regno non governarsi con le canzoni dei Trovatori, e l'onorato esser chi vince....
E che dunque?
interveniva terzo Ghino di Tacco "da che questo ladrone provenzale fu sì veloce a investire il Reame, e si mostra così presto di lingua, e insolentisce fino a mandare il guanto di sfida al figlio dell'Imperatore," e qui mostrò il guanto che gli aveva consegnato Carlo "saremo noi sì codardi da non rispondere alia chiamata?
| |
Conte Giordano Angalone Giordano Giordano Carlo San Germano Benevento Vostra Serenità Corrado Antiochia Abruzzo Conti Federigo Ventimiglia Capece Calabria Sicilia Baroni Angalone Manfredi San Germano Messer Regno Trovatori Ghino Tacco Reame Imperatore Carlo
|