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Oh se ci venisse fattofavellava Carlo al Monforte "di chiamare il nemico in questa valle!"
Spingiamoci alla dirotta ad occupare il ponte, e....
E il nemico scorgendo il vantaggio, non verrà più fuori.... date fiato alle trombe.
Questa fu la prima chiamata, che interruppe il consiglio di Manfredi. Dopo il segnale ristette, ansante di speranza e di timore, a spiare quello che fosse per nascere. Si aprono le porte, e le compagnie dei soldati nemici prendono a stendersi per la pianura verso il capo del ponte.
M'ingannano gli occhi,
domandò Carlo ai Baroni che gli stavano attorno "o sorte Manfredi? – Sì, sorte.... Sire Dio, gran mercè! – Or ecco, Baroni, il giorno che avete tanto desiderato.... Mongioia! Mongioia! la battaglia è vicina."
Bel cugino,
parlò sotto voce il Monforte al Conte di Provenza "perchè il Cavaliere del fulmine...." E il rimanente gli disse in modo che nessuno dei Baroni quivi ragunati lo intendesse. Carlo parve sdegnato, e negò assoluto: insistendo il Monforte, lasciava piegarsi, e rispondeva: "Fa, cugino, quello che vuoi; ma guarda che sia degno di portarle: – certo egli è un molto terribile cavaliere."
Lasciate fare, io troverò il vostro uomo, cuore di ferro, testa di nuvolo.
E tale discorrendo il Monforte si dette a cercare per le file un gentiluomo guascone nominato Sire Arrigo di Cocence, e gli riferiva come al Re, tratto dai suoi tanti meriti, era venuto in pensiero di vestirlo delle sue proprie armi, e farlo condottiero dell'avantiguardia: "io" gli soggiungeva lo scaltrito "avrei potuto contendervi l'onore, ma come grande amico vostro ho voluto lasciarvelo; pensate alla gloria che sta per ridondarne alla vostra famiglia, pensate, sire Arrigo, che di qui innanzi inquarterete nell'arme vostra il fiordaliso di Francia.
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