gridano muovendosi, e il suono si propaga per le valli circonvicine, e cresce il terrore: aggiungono spavento i Saraceni coll'incessante percuotere dei tamburi, chè in quel secolo soli essi adoperarono cotesta loro invenzione, la quale fu in processo di tempo accettata dalla civiltà europea per trasmettere i segnali in guerra, e per istraziare gli orecchi dei cittadini in pace, mettendoci di proprio i pifferi, onde compire l'armonia. Roberto di Fiandra, e il Contestabile Giles Lebrun, accorrono con la battaglia francese a sostenere le sorti vacillanti della giornata. Mongioia, e San Martino urlano a posta loro, e affrontano francamente. Formavano parte di questa schiera i cavalieri della Regina, e molti bei colpi di spada è fama che menassero, i quali però non ci conservano le storie; solo ci narrano come sire Arrigo di Cocence, non potendosi dar pace di avere indietreggiato meglio di due trar d'arco, infuriava per le file esclamando:
Cavalieri cristiani, fate testa per San Dionigi... che diranno di me in Francia? Vergogna! avanti... avanti... sono paterini, eretici i nostri nemici... le spade loro non tagliano, Dio gli ha riprovati." – Due cavalieri di Manfredi osservato il Cocence, cui tolsero in cambio di Carlo di Angiò, avvolgersi così allo scoperto tra i suoi soldati, si spiccarono di fila, e abbassata la lancia, e premutala di forza sotto l'ascella, gli si disserrano addosso: erano questi Ghino e Rogiero. Bene avvertirono i vicini il Visconte dell'imminente pericolo, ma egli aspettandoli di piè fermo gridava: "Ora vedrete il bel giuoco.
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