– Atroci erano gli odii dei faziosi d'Italia in quei tempi, atroci i fatti; combattevano i fratelli contro i fratelli, i figli contro i padri, e però non senza commozione trovo nella mia Cronaca come i Guelfi dessero dopo la battaglia onorata sepoltura al d'Angalone deponendolo nella fossa stessa con Corrado di Montemagno, e sopra vi piantassero una croce, che nel braccio diritto presentava il nome di Giordano, nel traverso quello di Corrado, e pregava il passeggiero a recitare una requiem all'anime di due forti morti sul campo. Spenti i capitani, non fu più modo alla fuga, non si scôrse più altro che un correre alla dirotta per la campagna, non s'intese che un gridare: "salva chi può." In questa maniera rovinando pervennero dove Giordano Lancia, vinti i cavalieri della Regina, riordinava i soldati per condurli in sussidio dei suoi. "Ecco i nemici!" bianchi di paura gli gridavano i primi arrivati. – "Quali nemici?" – "I Guelfi, i Francesi, una schiera di demoni scatenati." – "Vengano, col nome di Dio; siamo qui per combatterli."
Urtano i sorvegnenti Francesi le schiere del Lancia con inestimabile valore, e sono con pari prodezza ributtati; rinserrano le file, tornano alla carica, e di nuovo indietreggiano respinti; fu il terzo rincalzo il meglio sanguinoso, nè quantunque laceri, peranche si sbigottivano; – tentarono il quarto; – infiniti i colpi percossi e ripercossi, infinite le piaghe, infinite le morti; ma il Lancia: "fermi!" gridava ai suoi, e i suoi confortati dall'esempio non piegavano un'oncia: combatteva Rogiero nella prima fila; stava la bandiera di Manfredi nella sua mano salda quanto su la cima di un torrione; intorno di lei si affollavano con impeto rabbioso i più prodi, e quando egli l'agitava al vento, sorgeva un grido di gioia, e il coraggio dei combattenti si raddoppiava.
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