Taccio del quarto d'ora che corse tra la morte di Rogiero, e queste parole che il Re profferiva: "Nè così tranquilla sarà la nostra agonia, pure l'affretto col desio... e sento che giunge. Rinaldo, presto a comparire al tribunale dell'Eterno io non voglio lasciare oggetto di odio sopra la terra... bisognevole dell'altrui perdono, io ti concedo il mio... se tu mi abbi offeso lo vedi... e tu perdona... valgaci il mutuo amore... prendi, prima che sia irrigidita, la mia mano..."
Non toccarmi; – io sono venuto a vederti morire, non a perdonarti.
E bene, io muoio... e ti perdono...
Io vivo, e ti detesto.
Allora Manfredi cadde riverso, nè andò molto che prese a singhiozzare forte, e ad esclamare tra i singulti: "Non favellarmi mite... oh! non mi ti mostrare placido... dimmi parricida... straziami con la rampogna degli occhi, padre mio. Che fai? perchè mi asciughi la fronte, Corrado? il lino è diventato vermiglio... vi stava sopra del sangue rappreso... è tuo... Oh! egli mi bacia dove stava il suo sangue... benedetto dal Signore... il regno dei cieli... piangerò milioni di secoli... così dolce chiama il sepolcro? lo spirito mio... la gioia della luce... mi raccomando."
Il Conte di Caserta intento, chino sul volto di Manfredi, per notare i sospiri, l'agitarsi dei muscoli, le più leggiere contorsioni dei labbri, – allorchè lo vide spirato, si levò impetuoso, e gittata la lanterna si dette a correre a precipizio pel campo di battaglia: spesso su qualche cadavere stramazzava, spesso inciampando nelle armi sparse si feriva; pareva non sentisse più nulla; strette le mascelle, le pugna tese, digrignava tra i denti atroci bestemmie, di tratto in tratto si pestava su per la bocca, e per le guance, ed ululava: "Egli è morto, – e non si è disperato.
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