Invitato a Corte dal Conte di Provenza, ricusava; e Carlo, a cui non parve vero godere del benefizio senza pagare mercede, lasciò volentieri che si ritirasse a vivere separato dal mondo. Rinaldo nella solitudine del suo castello meditando incessante i commessi delitti, e la vendetta, travagliato dall'aspide del rimorso, non parendogli che dalla morte avvenuta di Manfredi gliene derivasse quel conforto che ne sperava prima che avvenisse, vegliando le notti errante per le sale del vuoto palazzo, sussurrante nella febbre del dolore orribili imprecazioni, timoroso della luce del sole, come dell'aspetto di un nemico, aborrente ogni umana sembianza, osava un giorno gettare uno sguardo dentro l'anima sua, e maravigliava come la sopportasse più oltre albergatrice del corpo; – statuì morire. Scese verso sera nel cortile; e ragunata la famiglia, con molti presenti l'accomiatava, protestando volersi rendere a vita diversa; intese la famiglia avesse fatto proponimento di entrare in qualche chiostro, e molto lo commendava: egli era stato per lei signore cortese, gli si prostrò davanti, e pianse menando doloroso rammarichío; forse in quel punto la toccò la perdita del guadagno, – forse era pietà sincera; – basta, – quel che fu vero fu il pianto; voleva la benedicesse, con iterata istanza lo supplicava pregasse per lei. Rinaldo l'ascoltava come uomo smemorato; rinvenne all'improvviso, e riassumendo la baronale fierezza ordinava, si levasse, e partisse. – Tacito tacito andava ognuno alla sua cameretta a meditarvi disegni, onde provvedere agli anni che gli rimanevano a vivere.
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