Giovanni da Procida riserbato a vendicare la famiglia di Manfredi, non giungeva a salvarla. Riparato in Lucera, mandava alla marina per trovare galea o saettia, che valesse a trasferirla in Catalogna: i messi caduti nelle mani del nemico perivano. Lucera, stretta d'assedio, ferocemente si difendeva: certo non si sa in che cosa sperasse; mancavano i cibi, ed il presidio ogni giorno si assottigliava; ma il Procida protestava non entrerebbe Carlo nella terra finchè vi fosse anima viva: tentato a tradire, gettava di propria mano il vergognoso ambasciadore dalle mura della città; ciò che uomo può operare, aveva operato; sul cammino della fame si approssimava la morte. Sia che il lungo assedio infastidisse Re Carlo, sia che diffidasse vincere con forze di tanto soverchianti, ricorreva alle frodi: proponeva al Procida cedesse la terra, dacchè il resistere tornava in vano; avrebbe egli investito Manfredino del Principato di Taranto, e delle altre possessioni lasciate per testamento dell'Imperatore Federigo a suo padre Manfredi; nessuno ligio omaggio, nessuna cessione su la corona di Napoli esigerebbe; per sicurezza dei patti impegnava la parola di Re: ammirare poi la rara fedeltà del Procida, che di così generosa resistenza tutelava la causa del suo signore, volerla ricompensare ad ogni modo; bella virtù essere la fede, nè meno lodevole, perchè avversa ai proprii disegni; lo terrebbe pel più fidato amico, sì come lo aveva avuto pel più generoso nemico. – Il Procida non voleva cedere, sospettoso della lusinga; ve lo costrinsero gli assediati.
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