La bocca sottile perdevasi fra le rughe delle guance. Cotesto volto sarebbesi adattato ugualmente bene a un santo e ad un bandito: cupo, inesplicabile come quello della sfinge, o come la fama dello stesso Conte Cènci.
Della persona e dei costumi di lui parmi aver detto abbastanza: più tardi m'ingegnerò esporre uno studio psicologico intorno a questo prodigioso personaggio.
Il Conte la sera precedente erasi ritirato di buon'ora nelle sue stanze, insalutati moglie e figliuoli. A Marzio, che gli profferiva i consueti uffici, aveva risposto:
- Va' via: mi basta Nerone.
Nerone era un cane enorme di mole e di ferocia. - Così lo nominò il Cènci, meno in memoria del truce imperatore, che per significare, nel vetusto linguaggio de' Sanniti, forte, o gagliardo.
Coricato appena, prese a dare di volta pel letto: incominciò a gemere d'impazienza: a mano a mano la impazienza diventò furore, e si pose a ruggire. Nerone gli rispondeva ruggendo. Indi a breve il Conte, balzando dalle odiate piume, esclamò:
- Abbiano avvelenato le lenzuola! - Questo si è pur dato altra volta, ed io l'ho letto in qualche libro. Olimpia! Ah! mi sei fuggita, ma io ti arriverò: - nessuno ha da scapparmi di mano - nessuno. - Quale silenzio è questo accanto a me! Che pace qui in casa mia! Riposano:... - dunque non gli atterrisco io? - Marzio.
Il cameriere chiamato accorreva prontissimo.
- Marzio, riprese il Conte, la famiglia che fa?
- Dorme.
- Tutti?
- Tutti; almeno sembra, poichè ogni cosa sia tranquilla in casa.
- E quando io non posso dormire ardiscono riposare in casa mia?
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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