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      Riposto nel male ogni suo desiderio, siccome ogni mezzo per salire in fama, lo amò col delirio dello ebbro e con l'ostinazione del calcolatore: oltrepassare le nequizie fino a lui conosciute immaginò che fosse trasportare altrove le colonne di Ercole, e scuoprire nuovi mondi: strinse vincoli di famiglia per la voluttà di lacerarli scelleratamente: coltivò affezioni più care per ispegnerle o sotto il soffio di un crudele scherno, o meno dolorosamente col pugnale: a Dio non credeva, ma lo sentiva come un chiodo in mezzo al cuore; e allora lo bestemmiava brutale a modo dell'orso, che morde lo spiedo che lo ha trafitto pensando sanare la piaga; empio miscuglio, insomma, d'Ajace, di Nerone e di bandito volgare, don Giovanni Tenorio è un frammento del suo carattere(21). Visse tormento a se e ad altrui: odiò, e fu odiato; si nudrì di male, e il male lo uccise. Morì come forse avrebbe scelto morire; imperciocchè tanto erano giunte le sue scellerate passioni a soffocare la natura, ch'è lecito supporre, che sentendosi ormai grave di anni, e di forze più poco adattato a nuocere, almeno per lungo tempo, il suo truce spirito esultasse della strage del corpo nel pensiero, che varrebbe a precipitare nel sepolcro per via di sangue la sua intera famiglia. Io immagino vedere cotest'anima trista soffiare nei carboni che arroventarono le tanaglie, le quali straziarono le carni del suo figliuolo Giacomo; abbrivare la mazzola che gli ruppe le tempia; e a piene mani raccogliere il sangue grondante dalla scure che recise la testa dei suoi, per bagnarsene il petto come rugiada rinfrescante.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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