Il dì sesto d'aprile, in l'ora prima,
Del corpo uscìo quell'anima beata?(25)
Ah! se la terra avesse sepolto a un punto la bella vesta delle membra di Laura e la memoria del suo amore, i tuoi canti suonerebbero esercitazioni di gaia scienza, eco delle canzoni dei Trovatori, gemiti mentiti di cuore bugiardo; e se così fosse, io ti compiangerei perchè avresti tradito i posteri, e te.
Beatrice stava seduta sopra un verone del palazzo Cènci, che guardava il giardino: in grembo ella teneva un fanciullo, che dagli occhi, dai capelli, da tutte le sembianze appariva esserle fratello: ella gli accarezzava amorosa i capelli, e di tratto in tratto gli baciava la fronte. Il fanciullo riposa il suo capo sul seno della sorella, e affissa in lei le pupille immote, ma senza intenzione, a guisa di persona assorta nel pensiero di qualche cosa fuori di questo mondo. La infermità aveva appassito il fiore della giovanezza: la sua pelle era tenue, e candida di un bianco pallido e dilicato così, che i raggi del sole cadente gli tralucevano in vermiglio traverso le orecchia e le dita: talora sospirava, più spesso schiudeva la bocca con isbadiglio convulso: pareva un angiolo in pena. Beatrice sconsolata gli disse:
- A che pensi, mio diletto Virgilio?
- Penso, che sarebbe pure stata la grande carità non farci mai venire al mondo!
- Ah! Virgilio...
- E poichè a questo non trovo più rimedio, il meglio sarà uscirne presto.
- Uscirne! E perchè?
- E perchè restarci? Il mio cuore qui dentro è morto da tempo; e quando il cuore è morto, oh come pesa che gli sopravviva il corpo!
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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Laura Trovatori Cènci Virgilio
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