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      - Tu, si può dire, ti affacci appena, fratello, alla vita, e già favelli parole disperate; ciò non istà bene: vivi e rallegrati, perchè non sai quali rose educhi per te la fortuna.
      - Rose! fortuna! Adesso la morte coglie i fiori per la ghirlanda della mia bara. La fortuna mi abbandonò quel giorno che perdemmo la madre...
      - Ma noi non ci possiamo considerare orfani affatto: forse l'ottima signora Lucrezia non ci mostra viscere di madre?
      - Sì, ma non è nostra madre.
      - E poi non hai anche me, che ti amo tanto?
      - Sì, sì, buona sorella, rispose il fanciullo gittandole le braccia al collo e piangendo dirotto; - ma nè anche tu sei la mamma mia.
      - Ed oltre a me, ti mancano forse fratelli? Non hai tu padre?
      - Chi padre?
      Beatrice, atterrita dallo improvviso rimescolarsi del fanciullo a cotesta parola, si tacque. Solo, dopo lungo silenzio, con voce esitante soggiunse:
      - Francesco Cènci non è per avventura tuo padre... e mio?
      Il fanciullo abbassò il capo, chiuse gli occhi, fece delle braccia al petto croce, e con suono velato rispose:
      - Sorella, guardami su la fronte alla radice dei capelli; vedi la cicatrice che vi porto? - La vedi? - Sai tu chi mi ha ferito? - Io non tel dissi fin qui; ma ora, che mi sento vicino a morire, io te lo posso confessare. Ripensando fra me come Francesco Cènci mi tenesse in dispregio, e sovente mi guardasse di traverso, nè a me parendo di meritarlo, un giorno, fattomi cuore, gli caddi davanti, e tentai prendergli la mano per recarmela alla bocca. Egli gridò: "va via, bastardo!


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





Lucrezia Cènci Francesco Cènci