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      E tirò tanto forte, che mi parve tutta la pelle del cranio si distaccasse con immenso dolore: la ciocca dei capelli gli rimase in mano; ed infuriando, lo spietato, nella ira, come se egli soffrisse, non io, il dolore, soggiunse:
      Io maledico te e i tuoi figliuoli, se mai arrivi a procrearne; possiate tutti vivere di miseria, nudrirvi di delitto, e morire di patibolo". - Ora, Beatrice, fammi grazia di dirmi un po' come posso desiderare di vivere io? Mia madre mi ha lasciato; mio padre mi ha maledetto: non è egli dunque meglio, che io muoia? Non dico il vero, sorella? - E qui il fanciullo singhiozzava convulso.
      Cotesti dolori non potevano consolarsi. Beatrice lo sentì, e si tacque; la sua fronte si coperse di sudore, e le gocce succedendosi cadevano spesse come le lacrime dagli occhi dolenti. Poichè fu trascorso spazio lungo di tempo in silenzio affannoso, Beatrice, comprimendo la passione che le traboccava dall'anima, si provò a confortarlo con voce mansueta:
      - Quietati, Virgilio, tu avrai colto il mal tempo...
      - No, egli era tranquillo...
      - Forse turbato da qualche cura segreta...
      - No, egli era lieto; - dopo che il cane mi ebbe morso egli si pose a scherzare con lui... col cane, che stette per isbranargli il figliuolo! - Adesso anch'io non lo amo più... sai? Quando lo vedo m'entra il tremito nelle vene, e la sua voce mi dà il dolore di capo. Spesso con gli occhi della mente io vedo non lontano un luogo oscuro, dond'esce rumore di bestemmie e d'imprecazioni scellerate; e una voce irrequieta mi tintinna nelle orecchie: "Cotesta è la contrada dell'odio, tu sei aspettato colà". Io non vi voglio andare; io non voglio odiare persona.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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