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      La miseria di Roma vince la desolazione dei sepolcri. Beati i morti! Perchè ti chiami Città eterna? - Oh! rammenta, che ai tempi della tua antica religione tu credevi eterno anche il marito dell'Aurora. - Eterno, ma caduco, Titone venne in tanto odio di se, che reputò grazia somma dei Numi essere convertito nello stridulo animale, fastidio dei giorni di estate: fu un lieto giorno per lui quando potè scambiare la sua miserabile eternità con la vita di una cicala. Perchè ti chiamano Città eterna? - La religione, a cui tu credi adesso, t'insegna come vestirono Cristo con le insegne reali per vituperarlo più crudelmente. Dio nel suo furore sembra ti abbia condannato, pur troppo, ad una eternità... ma è quella del pianto.
      Beatrice prostese il busto fuori del parapetto dicendo:
      - Là, là oltre cotesti colli avvi una terra feconda, che la Madre nostra portò in dote a Francesco Cènci: ivi è una chiesa dedicata ai santi apostoli Pietro e Paolo. In cotesta chiesa, dentro un sepolcro di marmo - a mano diritta di coloro che entrano - lungo la parete giacciono le ossa della nostra madre benedetta.
      E mentre, levato il braccio, additava il luogo acconsentendo con tutta la persona all'atto, fortuna volle che dal seno le uscisse una lettera e un medaglione, e cadessero giù nel giardino.
      - Oh Dio, il mio segreto! urlò la giovane con grido straziante, divampando in volto per la vergogna.
      Francesco Cènci, appiattato dietro un bosco di lauri, da gran tempo stavasi a contemplare coteste due creature fisso così, che pareva volesse avvelenarle col guardo.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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