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      La fanciulla l'una e l'altro ripose precipitosa nel seno.
      Poco dopo ecco il cane irrompere sopra la terrazza latrando: aveva gli occhi di brace: esalava il fiato fumoso. Beatrice, improvvida a qual partito appigliarsi, volge attorno lo sguardo, e scorge dentro una nicchia un trofeo di armi antiche posto ad ornamento della loggia: afferra una spada, e si pianta dinanzi al giacente fratello. Il mastino feroce a testa bassa si caccia oltre per isbranarlo: la fanciulla animosa, colto il destro, gli mena un colpo così potente, che penetrandogli il petto gli fende il cuore. Il cane si rotola nel proprio sangue, e traendo doloroso guaito spirò.
      Sovrasta nuovo pericolo, e più grave. Francesco Cènci sopraggiunge tempestando, con lo stile alla mano: balbuziente per furore, egli grida:
      - Dov'è la mala vipera? Morte di Dio! Chi mi ha ammazzato Nerone?... Chi?
      - Io. -
      - Ebbene; anche tu... ma no, prima la vipera. -
      E si china sul figliuolo per iscannarlo. Beatrice solleva la spada insanguinata, e, puntatala contro il petto di Francesco Cènci, con espressione impossibile a riferirsi dice:
      - Padre... non ti accostare...
      - Scellerata! Da parte; dico, - e si provava di arrivare il giacente.
      Beatrice con voce tremendamente pacata ripetè:
      - Padre, non ti accostare!
      A cotesto suono, che conteneva a un punto una suprema preghiera ed una suprema minaccia, Francesco Cènci si ristette a contemplarla.
      Dov'è la vergine dal dolce sembiante? Gli occhi di Beatrice, dilatati in guisa strana, pare che avventino fiamme: le narici aperte sussultano: le labbra compresse, il seno palpitante, i capelli sciolti le fremono dietro le spalle: la gamba sinistra ferma, e tesa in avanti; diritto il corpo; il pugno manco chiuso, e la destra accosto al fianco armata di spada con la punta in alto, in atto di ferire.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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