Appena il Conte ebbe menato a casa Lucrezia, come per ischerzo, le disse: "Voi volevate maritarvi col demonio piuttosto che con me: io vi ho presa per provarvi che avevate ragione"; - e le tenne parola.
Ogni giorno le si poneva accanto su lo inginocchiatoio; e mentre ella recitava responsorii e rosarii, egli cantava versi osceni, od empii: ella sfogliava un libro di orazioni, ed egli le incisioni turpissime di Marcantonio Raimondi commentate da Pietro Aretino: si studiò sovvertire in lei ogni idea di religione e di morale, a empirle l'anima di dubbio e di paure; ma Lucrezia di coteste diavolerie non intendeva niente, e spesso non vi attendeva nemmeno. Talora, quando il tristo marito stanco di favellare taceva, incominciava ella, o riprendeva a recitare il rosario: per la qual cosa avvenne che Francesco Cènci, invece di aspreggiare altrui, se medesimo tormentasse; invece di spingerla alla disperazione mordesse le sue labbra di rabbia, e stesse per impazzare di furore. Riuscito invano questo partito, scelse altro disegno. Prese a costringerla di ascoltare i suoi quotidiani adulterii: nè ciò valendo punto a irritarla, empì la casa di cortigiane; non si astenne da parole e da atti capaci di offendere la sua dignità di donna e di sposa; ma ella con inalterabile dolcezza gli diceva: "Dio vi ravveda, e vi perdoni come io vi ho perdonato". Francesco non trovava maniera di commuovere cotesta fredda, ed ineccitabile natura. Spesso, acciecato dalla ira, ei la umiliò al cospetto dei servi; la bistrattò, la percosse; le fece patire penuria di vesti e di cibo; le fece portare in volto i segni di furore, peggio che bestiale.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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