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- La sventura, sorella mia, è come una notte di dicembre; t'investe delle sue tenebre in guisa, che tu non vedi più alcuno, nè alcuno vede più te.
- Alza la voce nel buio; la conosceranno almeno i parenti: ho inteso dire che il peggior parente vale l'amico migliore.
- Vi sono sventure, come vi sono infermi a cui non vale virtù di senno, nè virtù di farmaco. Io non nego la pietà, la parentela, l'amore... io nulla nego; ma tutto in mano al potente diventa arme atta a percuotere, e in mano del debole diventa vetro per ferirlo. Contempla, sorella, quale e quanta sia l'abiezione a cui mi trovo condotto. Io non ho vesti per cuoprirmi; mi mancano perfino camicie: io non ho modo per curare la mondizie del corpo, di cui il difetto tanto umilia il gentiluomo. Ma questo sarebbe poco dolore se affliggesse me solo; ho quattro figli, e spesso mi manca tanto da sostentarli, non che d'altro, di pane. Dei due mila scudi annui, che il padre dovrebbe pagarmi per decreto del Papa, appena, ed a stento, mi dà la ottava parte; i frutti della dote di Luisa mi nega(39); onde io sovente, tornando a casa, trovo i miei figliuoli nudi, la madre piangente, e tutti domandare del pane... Ah! che cosa posso darvi? Prendete, mangiate le mie carni. Sì, per Dio, le mie carni! egregio cibo, in verità, le mie carni estenuate dal digiuno, e riarse dalla febbre! Fuggo da casa mia per sottrarmi a cotesti gridi; ma la disperazione viene meco, e mi ricinge a mille doppi la vita con le sue spire orribili di serpe, mentre i suoi denti avvelenati mi mordono il cuore.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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Papa Luisa Dio
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