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      Nella ventura notte, immaginando che l'Asino fosse tornato alla sua stalla, mi provai a penetrare di nuovo in casa al Curato; ma costui la faceva guardare da cani e da villani. E ora? - pensava tra me, - invece di guadagnare ho perduto, e non mi avanza più un baiocco per farne un bene, o un male: ed ecco come io mi trovai, quasi con la mano alla gola, strascinato nella impresa del Duca. Da una parte mi determinò il pensiero, che si trattava di bazzecola... un ratto di donzella! - Signore! e' ci hanno tanto gusto ad essere rapite! E poi coteste le sono faccende che si aggiustano, e il Duca parendomi acceso molto, chi sa che non la togliesse per sua legittima donna, e un giorno ella non me ne avesse obbligo grande? Dall'altra parte, come beneficare senza danari? Dalla impresa del Duca in fuori, non mi sovveniva sul momento altro partito per procurarmene. Chi si è dannato per femmine, chi per terre, o baronìe, chi per moneta: destino di Olimpio era, ch'ei si dannasse per un Asino...
      Il Conte guardava sovente fisso in volto colui, immaginando dalla giocondità del racconto che Olimpio favellasse per burla; ma egli mostrava le sembianze compunte così, che venne di leggieri nella contraria sentenza. Olimpio pertanto continuò:
      - E' non ci fu rimedio; mi presentai al Duca per concertare la impresa. Aveva studiato l'ora, i luoghi e le abitudini di casa: andammo quattro compagni; io cinque. Il Duca aspettava in istrada con la carrozza. Entrai nel cortile, e dissi al portiere: "Compare, fammi il servizio di chiamarmi su in casa la Crezia, e dille che venga abbasso, che Gioacchino l'aspetta per farle una ambasciata da parte di sua madre.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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