Nei brevi intervalli che don Francesco si allontanava pei suoi negozii da casa o da Roma, Guido, avvertito da messi fedeli, saliva tosto in palazzo, e visitate le donne, come meglio poteva le consolava. Quantunque avesse data, con giuramento, fede di sposo a Beatrice, pure godendo la grazia del Papa, e conoscendolo d'indole severa, e desideroso ch'ei non lasciasse lo stato ecclesiastico, dove gli prometteva amplissime promozioni, andava così trattenendosi accortamente di giorno in giorno, cercando il destro di scuoprire l'animo suo al Pontefice senza inimicarselo, e riportare l'approvazione di quello. Ma don Francesco dalle sue spie, fu informato dei disegni di monsignore Guerra, o forse gli sospettò soltanto; e questo gli bastò per ammonirlo, che cessasse da visitare la sua famiglia e deponesse ogni pensiero su Beatrice, se gli era cara la vita. Il nome del Conte Cènci dissuadeva i più audaci da accattare briga con lui, e chiunque avesse avuto inimicizia con esso non si sarebbe reputato sicuro neanche nel letto; ma è da credersi che monsignore Guido avrebbe sfidato le sue minacce, se la fama della fanciulla amata, che ad ogni caldo amatore deve tornare sopra tutte cose carissima, non lo avesse trattenuto da muovere scandalo: però la vedeva rado, ed alle accese voglie davano i male arrivati amanti scarso refrigerio di lettere, che, come avverte il Pope,
Trasportano un sospir dall'Indo al polo(83).
Chi, di voi che leggete, non ha, almeno una volta durante la sua vita, ricevuto simili lettere?
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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