prima di abbandonarlo; nè Marzio ebbe a durare piccola faticaper contenerlo, e gli andava dicendo: si quietasse per
ora; lui premere smisuratamente più atroce la necessità dellavendetta; fra giorni egli ne trarrebbe del Conte una memorabile,
e sicura; essere iniquo offendere tanti innocenti percolpa di un reo.
Poi si condusse al carcere di Beatrice; l'animò a fuggirsiseco lui, ma la rinvenne ferma nel suo proposito di sopportare
quello che alla Provvidenza fosse piaciuto disporre dilei. Venutogli meno ogni argomento, prese il memoriale; la
confortò come seppe, provò allontanarsi, tornò indietro: sentiva,
nello abbandonarla, scoppiarsi il cuore come per morte.
Finalmente a lei, che non cessava scongiurarlo deporre perlo amore di Dio ogni disegno di vendetta contro il padre suo,
baciò, e ribaciò affettuoso le mani, e poi si allontanò conpassi concitati esclamando: "Fatale! fatale!"
Olimpio si salvò per la scala del giardino; Marzio uscì dalpalazzo montato sul cavallo storno, portando su le groppe di
quello avvoltolato il mantello scarlatto trinato di oro.
CAPITOLO XVII.
IL TEVERE.
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Acque del Tebro, a voi sola è rimastaLa grandezza di Roma.
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ANFOSSI, Beatrice Cènci.
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Fu di Romolo la genteChe il tridente
Di Nettuno in man gli porse.
Ebbe allor del mar lo impero,
Ed alteroTrionfando il mondo corse.
*/
GUIDI, Il Tevere.
Ecco il Tevere! Le sue acque scorrono adesso come quando Roma vi si contemplava incoronata di tutte le sue torri. Questi flutti hanno trasportato sul dorso regni, repubbliche, imperii, e Popoli, e, più stupendo a dirsi! una generazione intera di Numi, mescolata con le foglie inaridite che il vento di autunno sparpaglia lungo le sue sponde.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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