Pagina (323/814)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      A questa ora, voi non impedendo, io aveva letto il laus Deo della vita, chiuso il libro, e conosciuto com'era andata a finire: non bene, per dio, non bene; ma siccome potrebbe andare a concludere anche peggio, così mi contentava. A rischio di passare per ingrato, no, io non vi ringrazio.
      Nello entrare in casa gli si presentò una vista assai strana.
      Temistocle, narra Plutarco, vedendosi perseguitato dagli Ateniesi e dai Lacedemoni, si gittò in seno a speranze dubbiose e difficili rifuggendosi ad Admeto re dei Molossi, dal quale era avuto in odio per certa repulsa superba fatta alle istanze di lui mentr'egli teneva la suprema magistratura in Atene. Pure Temistocle, temendo adesso più la nuova invidia dei suoi nemici che lo antico sdegno del re, determinò implorarne l'aita con modo singolare; imperciocchè presone il pargoletto figliuolo nelle braccia, si prostese supplicando davanti l'ara domestica; la quale maniera di pregare si reputava presso i Molossi solenne, e la sola che non potesse rifiutarsi
      (101).
      Così un uomo di sembianza sinistra, membruto a modo dell'Ercole Farnese, tenendo nelle braccia il minore dei figliuoli di Giacomo Cènci, verso di questo lo sporgeva supplichevole.
      Cotesta squisitezza di affetto era facile che si dimostrasse da donna Luisa amante, e madre; ma come fosse caduta nell'animo ad Olimpio, natura tristamente salvatica davvero, non si saprebbe immaginare. Talora le api posero il favo del mele nella gola della fiera; ma ella è cosa tanto straordinaria, che Sansone ne fece argomento di enimma pei Filistei(102).


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





Deo Plutarco Ateniesi Lacedemoni Admeto Molossi Atene Temistocle Molossi Ercole Farnese Giacomo Cènci Luisa Olimpio Sansone Filistei