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      Ma il partito giovò ad Olimpio; che tenendo il fanciullo come il corno dell'altare, confessò pianamente a Giacomo tutte le sue colpe commesse per ordine del Conte Cènci al fine di distruggergli la pace domestica. Intanto il pargolo sollevava di tratto in tratto le sue manine, e tutto vezzoso rideva, sicchè Giacomo non seppe sdegnarsi contro Olimpio; il quale, colto il destro, posto nelle braccia del padre il fantolino, soggiunse:
      - Ora, poichè col figlio vi ho portato la pace, in grazia di questa innocente creatura, che per me intercede, io vi supplico, signore, che mi vogliate perdonare.
      Giacomo tacque, e girò gli occhi attorno torbido sempre, e sospettoso; se non che Luisa, indovinando quel muto linguaggio, trasse da parte Olimpio; e postasi genuflessa davanti al marito, così gli disse:
      - Mio sposo, e signore; noi abbiamo scambievolmente dubitato della nostra fede. A me valga per iscusa considerare che dalla perfida lingua del serpente non seppe guardarsi neppure Eva, la quale, come uscita dalle mani stesse del Creatore, deve supporsi che fosse composta con perfezione maggiore di noi. Avendo conosciuto lo scellerato fine a cui mirava Francesco Cènci, e considerando gl'ipocriti non meno che tristi argomenti posti in opera da lui, io mi credo sciolta da ogni promessa giurata, e vi faccio manifesto come, mossa dalla disperazione, io me ne andassi dal suocero, gli esponessi lo stato della nostra famiglia, e lo supplicassi a soccorrere i miei figli desolati, che pure erano suo sangue.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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