Colui, mozza ch'ebbe la testa all'ultimo aquilotto, ci disse:
Orsù, miei bravi, volete voi guadagnare due volte tanto danaro di quello che avete avuto? Andate a rimettere questi tre aquilotti morti nel nido donde gli avete cavati. Non ho meco altra moneta; ma venite a Rocca Ribalda, ed io conte Cènci vi manterrò la promessa.
A noi parve per quel giorno averne avuto d'avanzo; e poi, comunque bestie, le aquile avevano patito troppo strazio. Allora il barone si allontanò fischiando dall'altra parte del monte, senza nè darci, nè aspettare il saluto.
- E tutto questo che monta? - notò un vecchio bandito, che pareva nato a un parto col Caronte della cappella Sistina - O come hai provato, che tutto questo non accadesse per opera del demonio?
- Ma o non hai inteso, che il barone era il conte Francesco Cènci di Rocca Ribalda?
- Bella ragione! Non poteva il diavolo aver preso la sembianza del Conte Cènci? E mettiamo il barone da parte; o le aquile e gli aquilotti non potevano essere demonii?
- Ma vedi il caparbio! Ho sempre sentito dire che il diavolo è un gran signore. Ora pensa s'egli avesse voluto prendersi briga di una povera creatura come sono io.
- Eh! un'anima poi pesa quanto un'altra nelle bilance del diavolo.
- E dodici fanno una dozzina.
- Ma, a caso, portavi addosso nessuna reliquia?...
- Che domande! - Sicuro, eh! - Avevo un breve con la orazione di Santo Brancazio contro le streghe; un cornino di mare per la jettatura; la medaglia di San Tebaldo, oltre ad un pezzo di lumen Christi in tasca.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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