Il garzone, per torsi d'impaccio a rispondere, sciolse una nota limpidissima. Orazio non ebbe coraggio interromperlo, ed egli continuò:
Correte alle poste,
Chè scende il cignaleNon venne l'uguale
Pei boschi a stormir.
Avventa le zanne,
Atterra lecciòli.
Nocciòli, - corniòli,
Fa il bosco tremar.
Per setole ha stecchi,
Ha fiamme per occhi:
Nessuno mi tocchi,
Grugnando egli va.
Le belva percosseDel mostro allo strido,
Disertano il nido,
I figli, e l'amor.
I colti devastaCosì, che ai bifolchi
Par corsa nei solchiLa fiamma del ciel.
Le macchie salvate,
Ai campi accorrete,
Battete - uccideteQuel verro crudel.
La carne del verro,
Un rubbio ben pienoDi gran saraceno
Il premio sarà.
La testa, e del tiroSi aspetta l'onore
Al franco uccisoreDel marzio cignal.
E premio più caroLo aspetta, del viso
Di Clelia un sorriso,
Baleno di amor;
Di Clelia la bella,
Che quale la miraDelira, - sospira,
Più posa non ha.
- Eccoti un bacio, e uno scudo; disse Marzio uscendo da un macchione in compagnia di Olimpio. Iddio ti ha dato la grazia del canto come il raggio alle stelle - luminosa, e soave: io ti chiamerò l'usignòlo dei banditi.
Ma il giovanetto, lusingato dalle lodi, ricusò la moneta, e rispose:
- Marzio, io per danaro non canto; la voce mi fu data senza pagarla, ed io la dono, non la vendo: così mi sembra il canto più bello. Io ti servo per amore, e basta. Il nostro amico della Ferrata mi manda a dirti, che il Barone è giunto...
- È giunto?
- Certo, ed io l'ho visto; ha seco la moglie, i figliuoli, ed una scorta di guardie campestri, o masnadieri che sieno.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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Clelia Clelia Marzio Olimpio Ferrata Barone
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