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      La notte diventò più buia, chè metteva un'aria, piena di nuvole a strappi, chiamata dai campagnuoli le pecorelle; e a mano a mano che salivano il fresco si faceva mordente; il vento zufolava per le fronde degli alberi: si cacciarono su per l'erta di Rio Freddo alternando discorsi, e avvertimenti di badare al cammino, che davvero meritava attenzione. Passato Rio Freddo, per la piana del Cavaliere pervennero a Rocca Carenzia. Di qui ripresero a salire, per una viuzza del Monte di Bove, fin sopra la cima, dove videro comparire la luna.
      Quanto è diverso il primo quarto di questo pianeta dall'ultimo! Il primo rassomiglia una speranza, l'ultimo uno addio: gli uomini che videro di frequente il primo, bene pensarono a convertirlo in ornato della Diva dei boschi; quelli poi che più spesso contemplarono l'ultimo, ne fecero con migliore accorgimento lo attributo di Ecate, la Dea dello inferno. Chiunque ha contemplato la luna nelle varie sue fasi, per molte notti, ad ore diverse, comprende come possa essere stata salutata a ragione Dea degli amanti, e dei ladri. Le tenebre, non che ne fossero rischiarate, sembravano più triste; e il vento trasportando le nuvolette spesse, e più o meno dense, venivano ad alternarsi ora buio intero, ora mezza oscurità, ora splendida luce, che trasformavano stranamente e rendevano più terribile la faccia delle cose.
      Potevano essere circa le due ore dopo la mezza notte, allorchè, traversata Rocca di Cerro per la via Valeria, rasentarono il taglio portentoso delle rupi di Tagliacozzo.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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