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      O nuvoletta bianca, che traversi questo palmo di cielo che mi è dato fruire, io non vedrò quando arrivi a baciare la luna; o stella cadente, io ti ho veduto muovere, ma non posso vedere dove vai a finire; o foglia, che voli sopra l'apertura del mio carcere, dove terminerà di trasportarti il vento? Farfalla, le rose che desideri sono lontane di qui; io non vedrò quando, innamorata, tu accarezzerai con l'ale il tuo fiore diletto... No, viva Dio; per negare la vista di queste immagini non basta che la crudeltà e la paura avviluppino nello loro spire un'anima maligna, come i serpenti di Laocoonte; bisogna che al lurido sabbato dei suoi pensieri intervengano ancora la superstizione e la invidia: la prima, furia di fuoco che osò seppellire vive le tenere fanciulle, le quali, odiati i riti infecondi di Vesta, sagrificarono a Venere alma genitrice della Natura; la seconda, furia di ghiaccio che accecherebbe il genere umano, caccerebbe dal cielo l'occhio del Sole, vorrebbe insano anche Dio perchè essa è cieca, e folle.
      Lo insetto dalle ali dorate penetrò in questo sepolcro di vivi, ma presto ne usciva cruccioso ronzando: "dalle cure del carcerato non si fa mèle, ma tossico". L'uccello per un momento ha posato i piedi sopra queste graticole; ma è fuggito via gittandovi dentro un pianto, come se intendesse dire in sua favella: "tu sei infelice, ed io non posso aiutarti".
      Dentro il carcere, dietro la infame tramoggia, Beatrice invece di ricevere le impressioni esterne, e consolarsi contemplando, o ascoltando: - invece di blandire la memoria implacabile, e sopire la febbrile attività del pensiero riducendosi in condizione, più che potesse, passiva, ha dovuto all'opposto suscitare le fiamme divoranti della immaginazione; alimentare la ferita.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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