Beatrice stette a considerare cotesto lugubre edifizio; e saputo essere quello la prigione della Corte Savella, lieve percosse sul braccio alla cognata, e favellò:
- Non ti pare, che pianga?
- Chi?
- Cotesta carcere.
- Certo molte hanno da essere le lacrime che si piangono là dentro; e se si fossero fatta strada a sgorgare traverso i muri, io non me ne maraviglierei.
- E quelle erbe vetriole, che spingendosi per le commettiture delle pietre hanno trovato modo di sbucare fuori, non paiono le preghiere dei carcerati, che escono a stento da coteste mura?...
- Pur troppo paiono! E come coteste erbe rimangono attaccate alle pareti del carcere per esservi sbattute dal vento, o riarse dal sole, le preghiere si volgono invano al passeggero perchè ricordi chi geme là dentro, e ne senta pietà.
- Luisa! E quelle tasche, che attaccate a spaghi pendenti di sopra, ai muri scendono giù fin presso a terra, che cosa ci stanno a fare?
In questa ecco passare lì presso un plebeo romano dalla lingua mordace, e dagli atti petulanti, il quale avendo inteso la domanda della giovane, quasi invitato dalla onesta bellezza delle gentildonne, rispose:
- E' sono archetti tesi dai carcerati alla carità di passo; ma al tempo, che corre, la carità non si lascia chiappare più a volo, nè a fermo...
Ed un altro plebeo, sopraggiungendo, disse:
- Non è come la conti. Coteste tasche, eternamente vuote, stanno lì per dare immagine delle mammelle della carità dei Preti, con le quali allattano il povero popolo.
Le gentildonne rimasero contegnose a quei motti; e poichè si furono assicurate che nessuno le scorgeva, quanta moneta si trovavano addosso distribuita prima per coteste tasche, partirono.
| |
Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
|
|
Corte Savella Preti
|