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      Così alternando malinconici ragionamenti si condussero a casa sul fare della sera. Don Giacomo con la famiglia erasi ridotto nello antico palazzo dei Cènci, e sotto questo tetto abitavano tutti, parte sicuri, parte paurosi, e Beatrice in cuor suo desolata; quantunque non lo desse a divedere, e presaga d'impenitente sciagura.
      Alla veglia dei Cènci non manca mai frequenza di familiari e di amici per la parentela grande che aveva la casata, e la bella rinomanza di cortesia; ma stasera non si è veduto ancora comparire veruno, quantunque le due di notte fossero battute alla torre di nona. I convenuti s'ingegnano a tenere vivo il colloquio, ma soventi accade che la proposta rimanga senza risposta, e poco si prolungano i dialoghi penosi: il sollazzo diventa fatica; ognuno di loro desidera starsi solo in colloquio con l'anima sua; ma fatto silenzio, della propria solitudine impauriscono: allora si ode fragoroso lo spensierato folleggiare dei fanciulli, e rabbrividisce come uno scoppio di riso tra i funerali, sicchè ritornano con favelli scomposti a divertire l'affannato pensiero. Donna Luisa incomincia:
      - Orsù, io mi accorgo che questa sera domina fra noi lo umore taciturno: prendiamo l'Orlando furioso, e proviamo sollevarci lo spirito con qualcheduna di coteste maravigliose fantasie.
      - Io per me l'ho a noia per quel suo costume piuttosto discolo che facile, notò Beatrice; e per di più non mi garba quel fare leggiero: leggiamo invece, se vi piace, la Gerusalemme liberata.
      - A me piace, soggiunge breve don Giacomo.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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