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      La facoltà pensante, quasi sole senza raggi, le stava fissa nel mezzo della fronte inerte, e tuttavia ardente. In arroto di spasimo sentì per la intera notte un rammarichìo a mano a mano più fievole di persona che si doleva, e le parve ancora udire, e udì certo, le preci degli agonizzanti: nè punto s'ingannò, imperciocchè nella cella accanto alla sua in cotesta notte passasse a vita migliore uno sciagurato prigione per male di asma. Una malignità suprema, od una stupidità di mente da non temere paragone in terra o in inferno, aveva presieduto all'ordinamento di cotesta carcere; conciossiacosachè, quasi fossero poche le riferite tribolazioni, dieci battagli battessero nel bronzo, e più nel cranio della povera Beatrice, i mezzi quarti, i quarti delle ore, e le ore intere: nella dodicesima ora furono percossi centosessanta tocchi; e v'era da diventarne matti. Più tardi, quando Beatrice domandò per quale causa menassero così increscioso scampanìo, udì rispondersi placidamente: in primis, che così aveva ordinato il Soprastante delle carceri; e subitochè il soprastante l'aveva ordinato, la sua ragione ci aveva da essere; e poi, che in quanto al fracasso il soprastante aveva osservato che i detenuti ci si abituavano, e che le campane alla lunga la vincevano sempre sopra i nervi degli uomini. Nè qui finiva lo strazio: allorchè, dopo tormentosa vigilia, gli occhi di Beatrice incominciarono a chiudersi sul fare del giorno, tre campanelli presero a suonare a distesa, e subito dopo tenne loro dietro lo insopportabile strepito di trecento e più catenacci tirati, altrettante porte spalancate, e l'odioso fragore della moltitudine delle chiavi cozzanti fra loro.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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