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      Lei misera, che delibava appena il calice del dolore!
      Più tardi le portarono pane nero, vino di agresto, e una broda nauseabonda ove galleggiavano frusti di carne grassa e di erbe. Si attentò ancora guardare in faccia i carcerieri. A quale razza di bestie spettassero costoro, chi lo può dire? Uno di essi rassomigliava al geroglifico egiziano, che presenta forma di uomo, e capo di sparviere; un altro pareva un pomodoro fradicio imbrattato di calcina, così lo aveva concio nella faccia l'erpete maligno inasprito dalla perpetua ubbriachezza: invece di occhi tu avresti detto che tenesse in fronte coccole di cipresso, tanto elli apparivano duri, e senza sguardo: gli orecchi poi erano un vero laberinto della pietà, dacchè i gemiti degli afflitti o vi si perdevano, o vi restavano divorati da bestia più crudele del Minotauro, voglio dire dall'anima malnata di costui. Di rado accade che nelle cose belle, per quanto leggiadrissime esse sieno, le parti armonizzino perfettamente tra loro; ma in questa trista carcere tutto accordavasi, così uomini come cose, con istupenda corrispondenza. Il brutto e il cattivo occorrono in natura troppo più copiosi del bello e del buono.
      Come talora, per giuoco, facciamo passare sopra la buia parete una serie di figure spaventevoli o grottesche, in quel giorno davanti agli occhi maravigliati di Beatrice dovevano fare la mostra stranissimi aspetti. Preceduto dal solito scatenìo, mezza ora dopo che costoro erano spariti, ecco entrare nel carcere un uomo molto lindamente abbigliato, con certi orecchioni a guisa di conchiglia marina, camuso il naso, le labbra grosse e sporgenti in fuori come quelle della scimmia.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





Minotauro Beatrice