Mastro Alessandro li passava tutti in rassegna, li rimetteva in sesto; qualcheduno forbiva da certe macchie nere, che le vene umane vi avevano sprizzato vermiglie. Il notaro e il giustiziere, ognuno dal canto suo si apparecchiava a celebrare degnamente la solennità giudiziaria.
Intanto sopraggiunsero un altro notaro, e due giudici; i quali poichè si furono ricambiati gli onesti salutari, ed ebbero lungamente favellato del tempo, della stagione, della loro salute, e delle donne loro, Cesare Luciani creatura bruttissima, con un capo che pareva un corbello; di faccia verde, come composta di sego vieto e di verderame, disse che l'aria fresca gli aveva inacerbita la gotta, e la tosse; ed il notaro Ribaldella, che lo considerava suo protettore, gli raccomandò con voce lacrimosa, che per lo amore di Dio avesse cura della sua preziosa salute. Egli brontolando rispose:
- Lo faremo, - lo faremo, Giacomino; - e non può sapersi se questo dicesse o maravigliato, o impaurito, o soddisfatto che vivesse creatura al mondo la quale sentisse, o fingesse affetto per lui.
Un altro giudice (e questi passava per pietoso) così per la faccia vermiglio, che pareva un terzino di vino puro lasciato per dimenticanza sopra la mensa di madonna Giustizia, con occhi tondi, fissi, e stupidi come quelli di un tacchino, saltò su a raccontare come gli fosse toccato a vegliar tutta notte a cagione di un suo cane preso dalla colica, e:
- Che volete? - egli aggiunse - gli è questo il mio pecco; mi sento il cuore troppo tenero; proprio non era nato per fare il giudice criminale.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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Alessandro Cesare Luciani Ribaldella Dio Giacomino Giustizia
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