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      Quando giunsero al Conte Cènci di Spagna nuove della morte dei suoi figliuoli Rocco e Cristofano, gli bastò l'animo imbandire convito ai parenti e agli amici, dov'egli disse, e fece cose, che parve miracolo se Roma non sobbissasse: ricercatene i commensali; erano tra questi Cardinali di Santa Madre Chiesa, e Baroni cospicui. Quando la gente, cacciata via dal terrore, lasciò la sala deserta, egli, ebbro più di empietà che di vino, osò levare le scellerate mani sopra Beatrice. Cotesto sarebbe stato il suo ultimo giorno, però che io dietro le spalle di lui alzassi un vaso di argento per ispezzargli il cranio, se questa innocente, urlando, e riparandolo con le braccia, non lo avesse salvato. Mosso da lei con ardentissime preghiere di non attentare alla vita del padre, io non volli deporre la mia vendetta; ma determinai uscire di casa, e coglierlo altrove. Però il maligno vecchio mi aveva tolto in sospetto; e, fingendomi amore,
      m'inviava alla Rocca Petrella por apprestargli le stanze. Le stanze! - Già aveva innanzi spedito alla posta sicarii perchè mi ammazzassero, e intanto mi donava cortese il tabarro scarlatto trinato di oro; e comecchè io mi difendessi da accettarlo, non mi parendo dicevole al mio stato, egli volle che ad ogni patto io lo prendessi per preservarmi dalla influenza della malaria viaggiando per la campagna romana: così egli diceva; ma invero perchè il tabarro rosso servisse di contrassegno ai sicarii. Mi salvai dalle sue insidie, e le tesi a lui: raccolsi una mano di compagni; e quando mi credeva morto, lo feci prigione nel suo ultimo viaggio alla Ribalda, e lo trassi alle caverne di Tagliacozzo.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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