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      Diventato più sciolto, anzi impudente di lingua per virtù del vino, esclamò:
      - Orsù, via, figliuole mie; venite qua, che voglio darvi una buona novella, ed è, che prima che finisca la settimana intendo presentarvi di un magnifico dono.
      - Magari! E che cosa ci dona, signor padre? - rispose la maggiore.
      - Indovinate.
      - Una faldiglia di seta?
      - Meglio ancora.
      - Un viaggio a Tivoli?
      - Meglio, meglio. Io vi donerò quattro teste tagliate di gentildonne, e gentiluomini romani; e tra queste una attaccata ad un collo bianco, e rotondo come il tuo.
      E sì dicendo, con gl'indici e i pollici delle mani le cingeva il collo. La fanciulla si sottrasse con ribrezzo alla stretta esclamando:
      - Cotesti sono presenti pei carnefici: io non lo voglio.
      E le altre sorelle, in coro:
      - Tristo dono, tristo dono; noi non lo vogliamo.
      - Donna, gridò il Luciani guardando con occhi arruffati la moglie, la nostra schiatta madreggia; - e così dicendo si levò in piedi, si trasse il berretto fino sul naso, e preso un lume s'incamminò borbottando alla sua camera, dove si chiuse per di dentro.
      La mattina veniente, appena fatto giorno, fu visto il Luciani nella carcere di Corte Savella accompagnato da due vecchie femmine, o piuttosto furie, incamminarsi alla prigione di Beatrice.
      La mesta fanciulla giaceva assorta da moltitudine di pensieri, i quali tutti mettevano capo ad affannose conchiusioni; ond'ella infastidita, e sazia di giorni, non rifiniva di raccomandarsi a Dio, che per pietà da questo martirio la chiamasse alla sua pace.


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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