Udite! Uomini santi ci hanno ammaestrato come noi non possiamo volgere le mani micidiali contro il nostro corpo, ch'è fattura di Dio, senza fare violenza alla volontà suprema: ora, quanto a noi ha da parere maggiore peccato distruggere con lingua dolosa la propria fama, ch'è la vita dell'anima? E notate, che la vita sembra più cosa nostra, e però maggiormente facultati a disfarcene, che non della fama; imperciocchè questa dobbiamo tramandare ai nostri posteri, e per noi hassi ad aborrire ch'eglino del proprio nome si vergognino, o vadano soggetti a sentirsi dire: "il vostro casato rammenta un parricidio". Dunque Roma pagana vide una femmina di partito durare costantissima inaudite torture, e tagliatasi co' denti la lingua gittarla in faccia ai carnefici suoi, piuttostochè scuoprire la congiura alla quale ella aveva partecipato pur troppo(159); ed io, vergine ingenua e cristiana, non saprò sopportare i tormenti in testimonio della mia innocenza? Sciagurati! E che cosa pensate con la vostra viltà conseguire? Forse di conservare la vita? E non vi accorgete, che la si vuole spenta non già come fine, bensì come via che conduca a intento oggimai stabilito; nè a questo pare che basti la nostra morte, la quale oggimai ci avrebbero dato, ma si richieda eziandio la nostra infamia? Ora, avete voi pensato qual possa essere questo intento? Chi può lanciare lo sguardo nello abisso d'iniquità della Corte Romana, e distinguere tutti i disegni tenebrosi che si ravvolgono là dentro? Nella passata agonia una larva traversò la caligine della mia mente, e migliaia di voci le urlavano dietro: avarizia! avarizia!
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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Dio Roma Corte Romana
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