Atrocissimi dolori erano quelli, che da cotesto tormento derivavano; la natura umana non li poteva sopportare, molto più se consideriamo lo strazio fatto della misera fanciulla: e nondimeno Beatrice, temendo da un lato sconfortare i suoi, e dall'altro desiderando porgere loro lo esempio del come si abbia a soffrire, domava lo spasimo, e taceva. Taceva, sì; e insinuata la carne delle guance fra i denti stringeva forte fino ad empirsi la bocca di sangue, per divertire un'ambascia con l'altra; ma non era potestà in lei d'impedire il brivido intenso che le increspava la pelle di tutto il corpo, nè lo stralunamento delle pupille smarrite, nè il mugolìo convulso, che travaglia la creatura nella suprema ora del transito: - nè fu in lei, misera! trattenere uno strido disperatamente acuto, nel quale parve le si troncasse la vita, e declinare la testa giù come morta.
Anche il coniglio, ridotto alla disperazione, dimentica la naturale timidità, e morde. Don Giacomo non dubita accostarsi con la faccia al tassillo imfiammato, ed azzannatolo tenta staccarlo; ma da una scottatura in fuori non ne trasse altro vantaggio. Allora tutti, non esclusa la mansuetissima donna Lucrezia, spinti da moto spontaneo si avventarono contro il Luciani, mostrando volerlo stracciare co' denti: ululavano come bestie feroci, nè il sembiante loro pareva più umano. Quantunque cotesta fosse ira impotente, però che tenessero le mani incatenate, e per accostarsi ai giudici gl'impedisse il cancello, pure il Luciani n'ebbe spavento, e, balzato in piedi, si fece schermo con la spalliera della seggiola; dietro la quale, come da un baluardo, latrava:
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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