Ricercando in processo le cause muoventi al delitto, dimostrò come veruna di quelle accennate dal fisco convenisse a Lucrezia Petroni. Non la cupidità, conciossiachè nulla ella avesse a sperare dalla morte del marito Cènci, succedendo il coniuge all'altro coniuge intestato in esclusione del fisco soltanto; e qui invece essere conosciuto da tutti come il Conte Cènci avesse fatto testamento per diseredare chiunque con vincolo di parentela gli appartenesse: per la qual cosa ad appagare l'empie voglie della sua cupidità, quando mai l'avesse concepita, ostavano gli eredi necessarii e il testamento. Non può averla mossa il rancore, avvegnadio ingiurie ed offese ella avesse sofferto ben molte per la parte dello efferato marito; ma non essendosi fatta viva mentre tuttavia giovane e bella se ne sente angoscia in ragione del diritto che la donna crede di possedere a non doverle sopportare, era, non che inverosimile, assurdo ch'ella agognasse vendicarle dopo tanto spazio di tempo, e quando erano cessate, ed allorchè gli anni volgendo a vecchiezza, il sangue scorre più languido nelle vene, e l'animo, anco nelle nature irrequiete, assume più miti consigli; specialmente poi vendicarle con partite così atroce ad un punto, e pericoloso. Se le sevizie (le ingiurie alla fede coniugale io metto da parte) avessero perdurato, donna Lucrezia ricorrendo ai tribunali avrebbe ottenuto la separazione dal marito; la quale in quanto al vincolo non concedesi, ma in quanto al domicilio, o toro, sì: nè a lei mancavano aiuti di parentado potentissimo, nè, provveduta di larga dote, le era mestieri starsi presso al marito per timore di pecunia, o di scarsi alimenti.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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