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      Eccoli; il libro delle sue effemeridi, dov'egli, non so se con maggiore inverecondia, o nequizia, andava notando giorno per giorno i suoi delitti. Nè i misfatti di sangue, parlo cose a tutti note, furono in lui i più nefandi. I vincoli che il cuore umano desidera in questo terreno pellegrinaggio per sollievo allo squallor della vita, egli ebbe tutti: amico fu per diventare traditore: si finse amante per sedurre la innocenza, e poi lasciarla in balìa della disperazione: diventò marito per adulterare, padre per commettere incesto. Questi vincoli ei strinse pel talento di calpestarli; prese cognizione delle leggi romane per trasgredirle; le divine conobbe per romperle. Se Francesco Cènci non era, avremmo creduto che Tranquillo Svetonio temperasse lo stile nella calunnia allorquando ci lasciava scritti la vita e i costumi di Tiberio imperatore. Spettava al Cènci di fare agli uomini palese come le immanità di Caligola, di Nerone, di Domiziano, di Caracalla, e di quanti altri mostri Iddio mandò nel suo furore a flagellare la terra, cumulate insieme, potessero superarsi. Tale fu Francesco Cènci; e se io ho calunniato la sua memoria, possa la sua anima in questo momento affacciarsi sopra la soglia del tribunale, e gridarmi: "tu mentisci". O anima sciagurata, dovunque tu sii ascoltami. Lasciando ad altri la cura di rinfacciartelo al cospetto di Dio, io qui, davanti al suo Vicario santissimo, ti proclamo il più perfido e il più infame di quanti scellerati apparvero nel mondo...
      Il Procuratore fiscale, come se non fosse fatto suo, attendeva sempre a guardarsi le ugna; non così il cardinale Sforza, che sommesso diceva al San Giorgio:


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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