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      E dunque perchè piangeremo noi? Certo egli se la ordinava troppo più magnifica che queste cappe non sono; però ei non la vide terminare, nè all'ultimo ei la ebbe conforme al suo desiderio; mentre noi avremo la consolazione di terminarcele con le nostre mani, ed a seconda del nostro disegno.
      E la Virginia raddoppiava il pianto.
      - Credi, fanciulla mia, quello che ci rende amara la morte è la paura di morire: la morte in se io non reputa affanno, o almeno ella è breve affanno. I nostri vecchi, nei tempi antichi, per assuefarsi a considerarla come cosa ordinaria ornavano di sepolcri le pubbliche strade, e sovente i giovanetti sopra le tombe dei padri convenivano a favellare di amore. La morte tiene per mano la vita, e così in giro muovono alternativamente dinanzi al tempo. Anche nel discorso dimostravano la morte essere condizione di vita; conciossiachè eglino non dicevano mai: Caio è morto; ma Caio visse, Caio ha concluso il suo giorno supremo, Caio fu. Mi sovviene adesso aver letto come taluno, per tedio di malattia, avendo deliberato morire, astenutosi dal cibo venisse a sanare: non per questo però consentiva a rimanersi in vita; e fatta, secondo ch'egli diceva agli amici, i quali con preghiere si adoperavano ritrarlo dal suo proponimento, ormai tanta via verso la morte, non gli sembrava che la vita valesse il pregio di ritornare sopra i suoi passi. - Se la mia memoria non m'inganna, costui si chiamava Tito Pomponio Attico, ed era amico di Cicerone.
      - E perchè dunque, interrogò Lucrezia, sentiamo dentro noi così veemente lo istinto della vita?


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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa
1854 pagine 814

   





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