- Questo, a parere mio, fu provvidenza della natura; imperciocchè diversamente la creatura umana tanto proverebbe bisogno di disfarsi, che il fine della creazione andrebbe fallito. Vinta che abbiamo la paura, la morte scende sopra i nostri occhi come un sonno allo affaticato. E qual è lo stanco, che non desidera il riposo? Quale il travagliato, che non volesse addormentarsi per sempre?
- Ma invece di mettere tanta paura nella morte, non era meglio rallegrare con un poco più di contentezza la vita? Sempre terrore, sempre paura, e amore mai...
Queste parole favellò Virginia, la miseranda figlia di mastro Alessandro. La Beatrice la fisso dentro gli occhi. I predestinati si conoscono: anch'ella teneva su la faccia impressa l'orma della mano del fato. - Beatrice, rimastasi alquanto pensosa, le rispondeva:
- Il nostro intelletto, Virginia, non arriva a comprendere la ragione di tutte le cose; dov'egli manca aggiuntiamogli la fede, è allora giungeremo a toccare il paradiso. - Qui tirando il filo, le si ruppe; ond'ella, mostratolo così tronco a Virginia, soggiunse: - questo io so dirti, che in qualunque parte si tronchi il filo diventa capo di gugliata. Signora madre, avvertite che le cappe dalla cima hanno ad essere scollate; e se mostreremo il collo, ed in parte le spalle denudate, io spero che i discreti non ci vorranno tacciare d'inverecondia, pensando al festino a cui siamo convitate. Festino, sì, che Dio ne aiuti, dove il rinfresco sarà di capi recisi, e di bicchieri di sangue...
- Ed oh! fosse bastato il mio, che ormai sono vecchia, o sopra la terra più poco ho da stare; ma il tuo, povera figliuola, ma quello dello innocente fanciullo.
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Beatrice Cènci
Storia del secolo XVI
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Vannucchi Pisa 1854
pagine 814 |
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